Le esigenze dell’adorazione perfetta
Cooperatori di Dio nella sua luce

Rendere gloria a Dio
Abbiamo considerato* l’anima pervenuta al pieno sviluppo della vita soprannaturale, a quella pienezza che realizza il desiderio del Padre celeste rivelato esplicitamente dal suo divin Figlio, a quello stato che deve costituire l’oggetto della nostra unica ambizione.
Nostro Signore Gesù Cristo — che, come dice il salmo, è stato posto «in capo al libro»,1 cioè è il primogenito di ogni creatura — non ha dato altro fine alla propria vita mortale. Nell’Incarnazione, in tutte le azioni del suo pellegrinaggio terreno — umiliazioni, predicazioni, miracoli, preghiere, sofferenze, morte e risurrezione — suo unico scopo è stato di dare al Padre suo tutta la gloria che la sua santa umanità era capace di offrirgli. E il suo zelo non si è limitato a questo sforzo personale: egli ha voluto espressamente impegnare con sé su questa via tutti coloro di cui è stato costituito capo; e lo ha fatto con l’esempio e con la parola, rivelandoci i disegni nascosti e i desideri segreti della Trinità augusta.
Il pozzo di Giacobbe
Nel pellegrinaggio terreno del Salvatore vi è un fatto particolare, che in questa prospettiva assume un’importanza specifica e merita perciò di essere studiato fin nei minimi particolari.2 Il Signore, per recarsi dalla Giudea in Galilea, attraversa la Samaria e, stanco del viaggio, si ferma al pozzo di Giacobbe. È stanco, e con questa fatica, allo stesso tempo reale e voluta, egli voleva dimostrare a tutti la realtà della sua natura umana e la sua volontà di non ricorrere al miracolo a ogni piè sospinto.
La vicinanza di quel pozzo ha favorito la sosta del Signore; nel tempo dei simboli, infatti, i pozzi erano stati, non senza ragioni misteriose, i luoghi preferiti per concludere le alleanze. L’ora del mezzogiorno, cioè della piena luce solare, era il tempo designato per questa nuova rivelazione dei segreti disegni del Padre.
Per bocca del salmista egli aveva giurato di non concedersi alcun riposo fino al giorno in cui avesse trovato per Dio un tempio: «…fino a che io non abbia trovato un luogo per il Signore, una dimora per il Dio di Giacobbe».3 Ma oggi, giunta l’ora e la pienezza dei tempi, egli si siede sul sentiero dei viandanti ad aspettare l’umanità. E questa non tarda ad apparire, incosciente e macchiata, nella persona della donna di Samaria alla quale egli si degna di chiedere da bere. Ma la povera umanità peccatrice che cosa potrà mai offrire per calmare la sete del suo Creatore?
L’offerta divina
Questa richiesta perciò, piena di profondo mistero, sconcerta e meraviglia la donna. Attraverso il velo dell’ignoranza intravede confusamente gli ostacoli che si frappongono alle offerte di Dio; e se le ragioni che lei adduce non sono le più vere e probanti, esprimono nondimeno, assieme allo stupore, il preciso sentimento della sua impotenza. Un abisso la separa da colui che le chiede da bere; ma appena lei ha riconosciuto umilmente gli ostacoli, il Signore stesso si offre di rimuoverli: «Se tu conoscessi il dono di Dio!».4 Il Signore, premuroso di rivelare orizzonti nuovi a questa umanità cieca, comincia col farle toccare con mano le sue miserie: «Va’, chiama tuo marito e ritorna».5
Dai Padri, e da sant’Agostino in particolare, questo vir viene interpretato come l’intelligenza che deve governare la creatura razionale. Il Signore vorrebbe trovarla anzitutto nella Samaritana: egli desidera illuminare, istruire e guidare la ragione, che inutilmente cerca in questa donna; ed essa risponde giustamente: «Non habeo virum», «Non ho marito». Finora in lei ha dominato la parte inferiore; essa lo ammette, e il signore se ne complimenta affabilmente: «Hai ragione di dire che non hai marito, perché ne hai avuti cinque, e colui che tu hai al presente non è nemmeno tuo marito: hai veramente ragione».6 I sensi, di cui è stata schiava e vittima, l’hanno ingannata; la sua vita è stata volgare e carnale, mentre avrebbe dovuto essere spirituale e ragionevole.
Cristo, suo salvatore e medico, vuole anzitutto rivelarle la sua piaga per guarirla. Infatti l’uomo può unirsi a Dio mediante laparte superiore dell’anima, grazie alla quale può riprenderemano lo scettro che Dio gli aveva dato all’origine per guidare e governare la parte inferiore del suo essere e tutte le creature visibili: «Che egli domini sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sugli animali domestici, su tutta la terra e sui rettili che strisciano sulla terra».7 Il Signore viene dunque a riportare l’ordine; viene a strappare l’umanità alla vita dei sensi e al giogo delle passioni, a liberare l’intelligenza, principio immortale che deve presiedere a tutto il nostro agire; viene infine a unirsi all’intelligenza per essere la sua corona di gloria, come insegna l’Apostolo: «Voglio sappiate che Cristo è capo di ogni uomo, l’uomo è capo della donna, e Dio è il capo di Cristo»8 Dio non accetta più di trattare con la parte inferiore di noi stessi; non vuole rivelarsi ai sensi o brillare davanti all’immaginazione, come l’Apostolo aggiunge: «L’uomo carnale non percepisce le cose che appartengono allo Spirito di Dio».9 Tale comportamento di Dio distingue appunto profondamente l’Antica Alleanza dalla Nuova. «Dopo aver parlato un tempo ai nostri padri, in epoche e maniere diverse per mezzo dei Profeti, in questi ultimi tempi Dio ci ha parlato per mezzo del Figlio suo che ha stabilito erede di ogni cosa, e con il quale ha fatto i secoli».10
L’alleanza
L’Antica Alleanza offriva all’umanità figure che si rivolgevano ai sensi: «Tutte queste cose che sono loro successe sono figure, e sono state scritte per nostra istruzione, per noi che ci troviamo alla fine dei tempi»11.” La Nuova Alleanza, che si instaura in Cristo mediatore e pontefice, apre una nuova via per andare a Dio, come Nostro Signore Gesù dice alla Samaritana: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questa montagna né a Gerusalemme adorerete il Padre».17 L’ora misteriosa che Cristo annuncia è quella della sua vita terrena, durante la quale egli insegna all’uomo le realtà uniche, allorché l’uomo stesso non dovrà più adorare il Padre né sul monte Garizim né a Gerusalemme, bensì, interiormente, nel tempio segreto dei cuore e dell’intelligenza. Sant’Agostino scrive: «Se cerchi un luogo in alto, un luogo consacrato, offri a Dio un tempio nel tuo intimo, perché il tempio di Dio è santo, e questo tempio sei tu. Vuoi pregare in un tempio? Prega in te stesso. Ma prima devi diventare tempio di Dio, poiché egli esaudisce colui che prega nel suo tempio».13
Il Signore non volle limitarsi a rivelare all’umanità la caducità della prima Alleanza; egli ha voluto anche rivelarle gli splendori imperituri della seconda: «Giunge l’ora — ed è questa — in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e in verità, poiché sono questi gli adoratori che il Padre cerca. Dio è spirito, e i suoi adoratori devono adorarlo in spirito e in verità».14
Tale è il misterioso segreto delle nuove relazioni tra l’umanità e Dio suo Creatore. E non si tratta di una promessa: «è adesso»: il momento della realizzazione è arrivato, la pienezza della vita soprannaturale si diffonderà sulla terra, e la nuova stirpe si riconoscerà dalla sua maniera di adorare Dio.
I veri adoratori
Che cosa significa «adorare Dio in spirito e verità»? Questa è la prima domanda, una domanda di capitale importanza per l’umanità, che occorre intendere nel suo senso esatto. Come tutte le altre realtà che il Nuovo Testamento avrebbe illuminato pienamente, anche l’adorazione perfetta e i veri adoratori di Dio sono già indicati e preannunciati nell’Antico Testamento. Come un saggio architetto, Dio ha previsto che cosa intendeva fare, e ha posato le pietre d’angolo, Mosè è stato uno di questi veri adoratori, e il Signore stesso lo spiegò ad Aronne e a sua sorella Maria che aveva convocato davanti al tabernacolo: «Ascoltate le mie parole: se avete qualche profeta di Dio, lo mi rivelerò a lui in visione, gli parlerò in sogno. Tale non è il mio servo Mosè: egli è riconosciuto fedele in tutta la mia casa; a lui io parlo a bocca a bocca, facendomi vedere, e non per enigmi; egli contempla il volto di Dio».15 Il Signore stabilisce qui una chiara distinzione tra i suoi servi comuni – anche quelli che egli gratifica dei suoi doni – e d vero adoratore in spirito e verità.
La Tradizione cristiana ha unanimemente riconosciuto e definito questo stato proponendo ai desideri di tutti la santa ambizione di essere annoverati tra gli adoratori eminenti cercati dal Padre. Riporteremo due soli esempi. San Cirillo Alessandrino, che ha dedicato un intero trattato all’adorazione in spirito e verità, commenta il citato passo del Vangelo con queste parole: «Chi adora in spinto è gradito a Dio quando, non velando la sua pietà con le ombre e le figure del culto giudaico, ma brillando nello splendore delle virtù evangeliche, adora veramente Dio con una fedele osservanza dei precetti divini».16
Il dottissimo abate Ruperto va oltre: «Veri adoratori non sono coloro che non sanno che cosa adorano, ma coloro che ne hanno una vera conoscenza. Essi adorano il Padre non sulla montagna, non a Gerusalemme, ma in spirito e verità. Adorano il Padre coloro che ricevono da lui lo Spirito che li rende figli adottivi di Dio, e diventano membra del suo Unigenito. Adorare in spirito, infatti, significa aver ricevuto lo Spirito di adozione, che ci permette di esclamare: Padre, Padre! Adorare il Padre in verità significa dimorare nel Figlio, il quale ha detto: “Io sono la verità”.17 I veri adoratori adoreranno dunque un solo Dio Padre. Figlio e Spinto Santo, nella distinzione chiara e necessaria delle Persone.
«La vera adorazione è opera specifica dello Spirito Santo; è necessario infatti che l’uomo riceva dapprima lo Spirito Santo mediante una grazia anteriore, in modo da conoscere e confessare, attraverso lo Spirito, che Nostro Signore è venuto nella carne; tale è la via diretta per andare al Padre. Perciò è detto esattamente che essi adorano il Padre in spirito e verità, e non in verità e spirito».18
Da tale insegnamento risulta che il Padre celeste cerca i veri adoratori fra i figli di Dio, i fratelli di Nostro Signore Gesù Cristo, i templi dello Spirito Santo. Se il Padre li cerca, li troverà; e li troverà perché dall’eterna Saggezza tutto è stato predisposto con forza e con dolcezza affinché esistano. Posti così in alto nei desideri del Padre, nelle sollecitudini del Figlio e nell’amore dello Spirito Santo, si potrebbe credere che essi costituiscano nell’umanità una categoria a parte o una specie di casta, ma non è affatto così: il Redentore ha riscattato tutti gli uomini versando il prezzo infinito del suo sangue, e la forza di questo sangue non si esaurirebbe neppure lavando milioni di universi; e tutti gli uomini sono chiamati a diventare i veri adoratori che adorano Dio in spirito e verità.
I santi formati da Gesù
Il Signore non ignorava certamente la nostra radicale incapacità a raggiungere le regioni il cui ingresso egli indicava alla Samaritana. Nessuno sforzo umano è in grado di produrre l’unione con Dio, che forma l’essenza della santità: «Senza di me, non potete far nulla»,19 dice il Signore. Occorre che il Maestro accetti di andare incontro alla sua creatura, la sollevi, la innalzi fino a lui prevenendo e accompagnando tutti i suoi sforzi, perché la povera creatura riesca a dargli la risposta che egli si aspetta e che cerca.
Inoltre è evidentissimo che i veri adoratori, pur non essendo ancora — come i beati — confermati per sempre nella visione, non sono nemmeno anime deboli che muovono i primi passi sulle vie di Dio. I veri adoratori sono coloro che vivono in Dio, per Dio e con Dio, nell’unico e continuo atteggiamento conveniente alla creatura intelligente che indirizzi incessantemente la propria attività verso Dio; sono coloro che il linguaggio popolare chiama «santi». I santi sono persone come le altre; ma hanno preso sul serio la propria condizione di creature e il fine che Dio si è proposto creandoli. Sono stati fedeli nel fare buon uso di tutte legrazie che il Signore metteva man mano a loro disposizione. Il senso stesso della narrazione evangelica mostra chiarissimamente che i veri adoratori nascono alla vita soprannaturale divenendo cristiani al fonte battesimale. Come abbiamo appena visto, presso il pozzo di Giacobbe Nostro Signore svela alla Samaritana i piani di Dio, offrendole dapprima un’acqua misteriosa che è alla portata di tutti gli uomini ed è destinata a dissetarli per sempre. Il vero adoratore nasce dunque in noi con il battesimo, il quale ci provvede di tutte le energie che possono fare di noi coloro che il Padre cerca.
Anche il nutrimento che ci è approntato contiene in sé tutto ciò che può trasformarci, sì che acquistiamo l’atteggiamento caratteristico dei veri adoratori. Nostro Signore Gesù Cristo non è forse, in quanto uomo, l’adoratore per eccellenza, colui che si è offerto e continua a offrirsi alla gloria del Padre suo in una stretta ubbidienza? Anche in noi, egli non viene mai per parteciparci le sue virtù divine e umane se non dopo aver saldato il debito di un’adorazione che supera l’omaggio di tutte le creature. Non ci trasformerà in veri adoratori colui che, «avendo la natura stessa di Dio, non credette che fosse una rapina il suo essere eguale a Dio», e nondimeno «annichilò se stesso»20? E per offrire al Padre questo tributo di adorazione e di lode si è annientato fino a morire sulla croce.
Il vero adoratore segue il suo Maestro nella completa abnegazione di sé, praticando alla lettera l’invito del Signore Gesù: «Se qualcuno vuole venire al mio seguito, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».21 Questa via non è straordinaria; al contrario, è aperta a tutti i battezzati; e per chi segue con perseveranza il Salvatore conduce alla perfezione, cioè alla realizzazione di ciò che il Padre nostro celeste desidera da noi.
Le esigenze dell’adorazione perfetta
Ma prima di ogni altra cosa occorre convincersi che nessuno può pretendere a essere adoratore in spirito e verità se prima non ha rinnegato risolutamente ogni specie di idolatria. E l’idolatria, se crediamo a quanto ne dice l’Apostolo, non è soltanto il culto dei falsi dei. Anche in noi stessi possiamo innalzare molti idoli, ai quali sacrifichiamo ciecamente: «Sappiate che nessun fornicatore, nessun impudico, nessun avaro — il che è idolatria — sarà erede del regno di Gesù Cristo e di Dio».22 Dobbiamo distruggere tutti questi simulacri e costruire in noi stessi, per Dio, una dimora perfettamente sgombra da tutte le false divinità: «Quale relazione vi può mai essere tra il tempio di Dio e gli idoli? Voi infatti siete il tempio del Dio vivente, come dice Dio: Abiterò in essi e camminerò fra di loro, e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo».23
La separazione fra le tenebre e la luce deve dunque essere radicale nel vero adoratore, che si distingue appunto per la stabilità nel bene. Tutti i cristiani adorano Dio, però non tutti possono a rigore fregiarsi del titolo di «adoratori». Questo sostantivo è rarissimo nelle Scritture; anzi, a nostra conoscenza, pare sia usato soltanto nel capitolo 4 del Vangelo di san Giovanni, dove è descritto l’ineffabile incontro del Signore con la donna di Samaria.
L’adorazione è l’atto più nobile che possa essere compiuto dalla creatura intelligente e libera; essa è la forma in cui l’amore divino ritorna a Dio attraverso uno spirito creato; è l’omaggio di sottomissione, di sudditanza e di ubbidienza perfetta che l’essere contingente offre all’essere necessario. È infine un atto di donazione solenne, come un riconoscimento universale, compiuto in un olocausto perfettissimo, del dominio supremo di Dio.
Ma l’adorazione «in spirito e verità» è ancora qualcosa di più. è la sola risposta che l’intelligenza possa dare alla rivelazione che Dio fa di sé stesso nell’unità della sua essenza e nella trinità delle Persone. Un tale atto è possibile solo all’anima che è stata battezzata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, Perciò sant’Atanasio diceva: «Occorre adorare Dio, cioè il Padre, nella verità, cioè nel Figlio e nello Spirito Santo; in altre parole, bisogna adorare Dio trino e uno, adorare la santa Trinità e le sue tre Persone».24 L’atto di adorazione in spirito e verità, che il cristiano può compiere grazie al suo battesimo, lo rende perciò «adoratore» solo se l’adorazione è in lui non un atto fuggevole, raro ma un atteggiamento quasi permanente, una specie di stato professionale e di disposizione costante.
Il ritorno all’unità
«Vero adoratore» è colui la cui anima, libera da ogni molteplicità e tornata alla semplicità perfetta, è riuscita a comporre sé stessa in un’armonia senza dissonanze, avendo soppresso con uno sforzo costante ogni separazione e divisione, ogni contraddizione, sì da ritornare alla primitiva unità del suo essere. L’anima semplice ha un solo sguardo, un solo amore, un’unica intenzione, un’unica ambizione, un solo fine. Un solo sguardo, perché non vede che Dio; un solo amore, perché ama soltanto Dio; un’unica intenzione, perché tende esclusivamente a Dio; un’unica ambizione, piacere a Dio; un solo fine, il possesso di Dio. Essa non conosce né ripiegamenti sul passato né previsioni inquiete sull’avvenire; concentra serenamente tutte le proprie forze sull’unità del momento attuale; e nel momento attuale essa non vede che l’unità del beneplacito di Dio. L’anima semplice vive in un felice distacco e in una indifferenza meravigliosa: il tempo, il luogo, le occupazioni, il successo, in definitiva tutti gli avvenimenti, quali che siano, non turbano mai la pace e la sicurezza che le derivano dall’abbandono completo di sé stessa al beneplacito di Dio.
Per indicare questa forma di unità e di semplicità — che è la restaurazione suprema dell’uomo nell’integrità in cui Dio lo aveva fissato creandolo — la Scrittura designa spesso le anime sante con il nome di «colombe» e «vergini». A questo punto di restaurazione la vita intera diviene un omaggio continuo di adorazione alla santissima e serenissima Trinità.
Il «vero adoratore» è perciò colui che, avendo escluso dalla propria vita ogni sollecitudine estranea, vive al cospetto di Dio, al riparo dai timori e dalle passioni degli uomini: «Tu li proteggi nel segreto del tuo volto».25 Non vi sono più oscurità all’infuori dì quelle della fede, ma di una fede pura, la fede che faceva dire fieramente a san Lorenzo: «La mia notte non ha nulla di oscuro: tutto vi risplende di viva luce».26 La fede del vero adoratore diventa la sua vita. Dio – Padre, Figlio e Spirito Santo — si impadronisce di ogni sua attività la dirige e la governa in modo che sebbene venga destinate da Dio a doveri o missioni multiformi, in realtà compie una sola opera, l’adorazione.
Al vero adoratore può essere giustamente riferita la bella sentenza coniata da san Nilo nel suo libro sulla preghiera: «Se sei teologo, pregherai veramente; e se preghi veramente, sei teologo».27 Chi vive alla presenza di Dio. chi subordina a Dio la propria attività interiore e la rivolge totalmente a lui. costui è necessariamente teologo. Il suo stato è descritto dallo stesso santo abate anche là dove dice: «Lo stato di orazione è una disposizione abituale e tranquilla che, grazie a un grandissimo amore, rapisce alle altezze la mente sapiente e spirituale».28
Nell’antichità tutti i Padri hanno riconosciuto nei «veri adoratori» coloro che hanno raggiunto il vertice della vita soprannaturale; il loro battesimo è totalmente realizzato: essi agiscono non tanto con ciò che fanno quanto piuttosto attraverso ciò che sono diventati. Ricondotta all’unità perfetta, la loro anima va verso Dio per vie più angeliche che umane: «Essi andavano dove lo Spirito li spingeva, né si voltavano indietro camminando».29
La stessa cosa dice anche san Nilo: «Desideri pregare? Fuggi la terra, e ormai la tua conversazione sia nel cielo, non solamente con il semplice colloquio della preghiera, ma con azioni veramente angeliche e con una intelligenza sempre più alta delle cose divine».30 Dediti direttamente a Dio, i veri adoratori devono dorarsi di avviare e attirare a Dio – come è detto degli spiriti beati che vivono davanti a lui – tutti coloro che hanno ancora bisogno dei simboli, che non hanno ancora saputo sciogliersi dai legami della carne, dei sensi e delle passioni, che, ancora divisi, muovono i primi passi nella vita spirituale.
Le esigenze dell’adorazione perfetta
Questi adoratori, che Dio Padre cerca. formano la sua gloria perché, uniti strettamente al suo Unigenito, continuano e portano a compimento la sua opera sulla terra con un’efficacia e un vigore particolari. Di essi paria san Dionigi quando dice che «la perfezione dei membri della gerarchia consiste nell’avvicinarsi a Dio con coraggiosa imitazione e — ciò che è ancor piò sublime – nel farsi suoi cooperatori. come dice la parola santa: “Siamo cooperatori di Dio”31, e infine nel far risplendere in se stessi secondo le forze di ciascuno le meraviglie dell’azione divina».32
Ai veri adoratori in spirito e verità può essere applicato anche quest’altro passo nel quale lo stesso autore parla delle intelligenze angeliche: «Esse sono inondate di una luce che supera ogni conoscenza spirituale e sono ammesse, per quanto lo permette la loro natura, alla visione della bellezza suprema che è causa e origine di ogni bellezza e che risplende nelle tre adorabili Persone: esse fruiscono dell’umanità del Salvatore non solamente nel senso suggerito da qualche rappresentazione simbolica nella quale si ritrovano tracce delle sue auguste perfezioni: esse infatti, per il libero accesso che hanno presso di lui ricevono e conoscono le sue sante luci per via diretta; infine è loro concesso di imitare Gesù Cristo in una maniera più alta, perché possono attingere, secondo la loro capacità, alla fonte principale delle sue virtù divine e umane.33
E per evitare l’accusa di attribuire indebitamente all’uomo ciò che è privilegio esclusivo dell’Angelo, citeremo queste altre espressioni del glorioso Areopagita: «Ci sono fra noi», egli dice, «alcuni spiriti. chiamati a un’altissima grazia, quella di avvicinarsi all’angelo per quanto è possibile alla natura umana: sono coloro che. superato ogni sforzo intellettuale, entrano in unione intima con la luce ineffabile».34 Costoro sono i veri adoratori, che adorano in spirito e verità, che prendono alla lettera e mettono in pratica l’esortazione dell’apostolo Paolo: «Siate imitatori di Dio, come figli beneamati, e camminate nella carità, come Gesù Cristo ci ha amati e si è dato lui stesso per noi, offrendosi a Dio come un’oblazione e una vittima dal profumo gradevole».35
Ecco i veri adoratori che il Padre celeste cerca, che ha modellato e formato con tutta la sua divina industriosità. Se infatti in principio la Trinità augusta si è in un certo senso raccolta e riunita in sé stessa per creare l’uomo, in questa ricreazione, che riprende e perfeziona la prima, Dio, uno nella sostanza e trino nelle Persone, compie un’opera ancor più mirabile e gloriosa, un’opera in cui la sua augusta immagine e rassomiglianza si mostra più fedelmente impressa e più nobilmente riprodotta.
*Questo “articolo” riprende il capitolo 20 del testo “La vita spirituale e l’orazione” di Mère Cécile Bruyère
1 Sal.39,8.
2 Gv.4
3 Donec inveniam locum Domino, tabemaculum Deo Jacob (Sal. 131,5).
4 Si scires donum Dei! (Gv, 4,10).
5 Vade, vota virum tuum et veni huc (ivi, 16).
6 Bene dixit quia non habeo virum. Quinque enim viros habuisti, et nunc quem habes, non est tuus vir: hoc vere divisti (ivi, 17-18).
7 Qui praesit piscibus maris, et volatilibus caeli, et bestiis, universaeque terrae, omniunque reptili quod movetur in terra (Gen. 1,26).
8 Volo vos scire quod omnis viri caput, Christus est; caput autem mulieris, vir; caput vero Christi, Deus (1 Cor. 11, 3).
9 Animalis homo non percipit ea quae sunt Spiritus Dei (ivi, 2,14).
10 Multifariam multisque modis olim Deus loquens patribus in prophetis. novissime diebus istis locutus est nobis in Filio, quem constituit haeredem universorum, per quem fecit et saecula (Ebr. 1,1-2).11 Haec autem omnia in figura contingebant illis; scripta sunt autem ad correptionem nostram, in quos fines saeculorum devenerunt (1 Cor. 10.11).
12 Mulier, crede mihi, quia venit hora quando neque in monte hoc, neque in Jerosolyims adorabitis Patrem (Gv. 4,21).
13 Si forte quaeris aliquem locum altum, aliquem locum sanctum, in te exibe te templum Deo. Templum Dei sanctum est quod estis vos. In tempio vis orare? In te ora. Sed prius esto templum Dei, quia ille in tempio suo exaudiet orantem (In Iohannis Evangelium, Homilia XV, 4,25) (trad. di Quirino Principe).
14 Venit hora, et nunc est, quando veri adoratores adorabunt Patrem in spiritu et veritate. Nam et Pater tales quaerit qui adorent eum. Spiritus est Deus, et eos qui adorant eum, in spirita et veritate oportet adorare (Gv. 4,23-24).
15 Audite sermones meos: Si quis fuerit inter vos propheta Domini, in visione apparebo ei, vel per somnium loquar ad illum. At non talis servus meus Moyses, qui in omni domo mea fidelissimus est; ore enim ad os loquor ei; et palam, et non per aenigmata et fìguras Dominum videt (Num. 12,6-8).
16 Spiritualis adorator gratus est, qui non forma et figuris judaicis ad pietatem obumbratur, sed evangelica virtute fulgens, retta dogmatum disciplina, veramperagit adorationem (In lohannis Evangelìum, II, 93).
17 Ego sum veritàs (Gv. 14,6).
18 Expositio in Iohannem IV, 3.
19 Sine me nihil potestis facere (Gv. 15,5).
20 Cum in forma Dei esset. non rapinam arbitratus est esse se aequalem Deo; sed semetipsum exinanivit (Fil. 2,6-7).
21 Si quis vult post me venire, abneget semetipsum, et tollat crucem suam, et se- quatur me (Mt. 16, 24).
22 Hoc enim scitote intelligentes, quod omnis fornicator, aut immundus,, aut avarus. quod est idolorum servitùs, non habet haereditatem in regno Christi Dei (Ef. 5,5).
23 Qui autem consensus tempio Dei cum idolis? Vos enim estis templum Dei vivi, sicut dicit Deus: Quoniam inhabitabo in illis, et inambulabo inter eos: et ero iliorum Deus, et ipsi erunt mihi populus (2 Cor. 6,16).
24 Oportet adorare Deum, scilicet Patrem in veritate, id est, in Filio et in Spiritu Sancto, hoc est, oportet adorare Deum trinum et unum, oportet adoraresanctam Trinitatem ac tres ejus personas (Lettera a Sera pione).
25 Proteges eos in abscondito faciei tuae (Sal. 30,21).
26 Mea nox obscurum non habet; sed omnia in luce clarescunt.
27 Si theologus es, vere orabis; et si vere oraberis, eris theologus.
28 Status orationis est habitus absque passione, amore summo ad celsitudinem intelligibilem rapiens mentem sapientem et spiritualem.
29 Ubi erat impetus spiritus, illuc gradiebantur, nec revertebantur cum ambularent (Ez. 1, 12).
30 Cupis orare? Transferendo te hinc, conversationem jugiter in caelis habe, non nudo verbo simpliciter, sed actu angelico et diviniore cognitione.
31 Dei enim sumus adjutores (1 Cor. 3,9).
32 De coelesti hierarchia, III.
33 Ivi, VII.
34 De Divinis Nominibus, I.
35 Estote imitatores Dei, sicut filli carissimi, et ambulate in dilectione, sicut et Christus dilexit nos, et tradidit semetipsum pro nobis oblationem et hostiam Deo in odorem suavitatis (Ef. 5, 1-2).