“A Quella Luce Cotal si Diventa…”. La Dotta Ignoranza e il Silenzio.

Fonte: https://www.marcotosatti.com/2021/05/02/a-quella-luce-cotal-si-diventa-la-dotta-ignoranza-e-il-silenzio/

Marco Tosatti

Carissimi Stilumcuriali, il nostro Matto ci regala oggi una passeggiata nell’anima e in Dante, passando per il raccoglimento silenzioso, e un pensiero di Jalal Al-Din Rumi…Buona lettura. 

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«A QUELLA LUCE COTAL SI DIVENTA»

Molti anni addietro, mi imbattei in alcuni versi dell’ultimo Canto del  Paradiso che fulmineamente si stamparono indelebili nella mia mente, e da quel momento costituirono un preziosissimo vademecum interiore che prese a nutrire la componente contemplativa della mia  vita:

«Così la mente mia, tutta sospesa,
mirava fissa, immobile e attenta,
e sempre di mirar faceasi accesa.

A quella luce cotal si diventa,
che volgersi da lei per altro aspetto
è impossibil che mai si consenta;

però che ‘l ben, ch’è del volere obietto,
tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella
è defettivo ciò ch’è lì perfetto».

Versi la cui potenza d’impatto su di me trovai e tuttora trovo stupefacente (in giapponese ichidokusantan: una lettura che lascia incessanti segni di ammirazione); versi che rivelano qualcosa che li trascende infinitamente pur nella loro perfezione linguistica ed eccezionale sonorità: sì, leggere Dante vuol dire leggere musica! Una musica che ti rapisce e ti fa volare, libero dalle pastoie terrene. Dico “leggere” intendendo qualcosa di più che … leggere!

Il Raccoglimento Silenzioso di cui sono un entusiasta praticante (e sempre principiante), fu ed è tuttora incentivato da tali versi che giorno dopo giorno trovo sempre più veri, e tanto più veri quanto più la mia mente si fa “tutta sospesa, fissa, immobile e attenta”. Alla stregua di quella del Poeta, nel Raccoglimento Silenzioso la  mente si “sospende”, ossia  cessa la sua attività: non pensa più, non ragiona più, non produce più concetti, pensieri e immagini, insomma non sogna più: essa è appunto “sospesa”, quindi non è più attiva bensì contemplativa. Una mente che resta in attesa ma senza avere nulla a pretendere. Secondo lo zen, una mente mushotoku: senza spirito di profitto e senza scopo, dunque una mente disposta a ricevere poiché ha lasciato la presa. Musho: senza luogo, cioè senza appiglio, dacché gli appigli sono ingombri onirici prodotti dalla mente stessa che sbarrano l’accesso alla Luce.

E mentre Dante riferisce di una «luce», da parte mia posso riferire di … che cosa? Un vuoto? Un’assenza? Uno spazio/tempo senza limiti? Un regressum ad uterum? Sia quel che sia, non si tratta di un oggetto, bensì di un non so che di magnetico, e tanto più magnetico quanto più la mente si sospende, quanto più smette di sognare.

E che dire di quel «e fuor di quella (luce) è defettivo ciò che è lì perfetto»? Il difetto non esiste in sé: è il perfetto che si sottrae a «quella luce»!

Mi vien da collegare i versi di cui sopra ad altri  davvero stupendi in cui il Poeta parla dell’anima nel Canto XVI del Purgatorio, anche questi impressi in modo indelebile nella mia mente:

«Esce di mano a lui che la vagheggia

Prima che sia, a guisa di fanciulla

che piangendo e ridendo pargoleggia

l’anima semplicetta che sa nulla,

salvo che, mossa da lieto fattore,

volentieri torna a ciò che la trastulla».

Ecco: il Raccoglimento Silenzioso, ossia quella che il Cusano indica con l’ossimoro “dotta ignoranza”, rende di nuovo l’anima come esce dalle mani di Dio: «semplicetta» e che «sa nulla», vale a dire vuota di ogni oggetto di conoscenza, vuota di sogni, condizione che, soltanto, le permette di esser «mossa da lieto fattore» a cui essa vuol tornare. Ovvero: nessuna genere di mediazione nelle nozze mistiche fra l’Anima e Dio. Il «lieto fattore» è il magnete che attrae – «muove» – l’anima pura, vuota, che ha sciolto le sue eteree ali (il platonico “carro alato”).

A questo punto possiamo notare una certa omologia fra la visione di Dante e quella di Mosè, considerando quello che dice san Gregorio di Nissa in Vita di Mosè a proposito di Esodo 3, 14:

«Quello che Mosè, alla luce della teofania, mi sembra abbia allora compreso, è precisamente che nessuna delle cose che cadono sotto i sensi o che sono contemplate dall’intelletto sussiste realmente, ma solo l’essere trascendente e creatore dell’universo al quale tutto è sospeso».

Come si vede, anche il Padre della Chiesa riferisce con chiarezza la necessità di smettere di sognare ciò che “non sussiste realmente”, dello scavalcamento della mente (excessus mentis) per il ritorno dell’anima ad essere «semplicetta» e a non sapere nulla, alla “dotta ignoranza” appunto, quale condizione per l’Incontro Teandrico.

Concludo con il poeta sufi Jalal al-Din Rumi che conferma splendidamente quanto sopra:

«Tutto quanto concerne l’Anima si
svela spontaneamente ed ogni
sforzo razionale non fa che allontanarla.
Questo perché la sua natura
non è fenomenica. Si coglie
col cuore come una poesia, come
un’opera d’arte. Si sente, si ama
ma nessun concetto, come ombra
fugace, è ad essa adeguato».

E già:  la vita è Contemplazione  della Realtà oppure è sogno dell’inesistente.

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