Meditazione tenuta nel 1956

L’Ascensione è un mistero molto importante nella vita spirituale del cristiano, perché è la Festa che dice il termine della nostra medesima vita e perciò comanda in qualche modo tutto il nostro cammino. Anche la nostra vita spirituale è un’ascensione, un cammino non tanto attraverso il deserto, non tanto un’ascensione al Sinai, quanto un’ascensione nel Cielo, con Gesù. Termine del nostro cammino non è più una terra al di là del Giordano, e non è più la sommità del Sinai, è il Seno stesso del Padre, è il Cielo, dove Dio si manifesta, dove noi vivremo nella visione di Dio. Mosè ascende al Sinai fino a parlare faccia a faccia con Dio, come un amico suole parlare a un altro amico, dice il Libro dell’Esodo. Ma per incontrarsi con Dio deve trapassare al di là della nube, in modo da rendersi invisibile e nascosto agli occhi del popolo. Mosè va oltre la nube, e Gesù fa lo stesso. La nostra ascensione a Dio importa un nostro nascondimento, un nostro Venir meno nella luce. Tanto più l’uomo sale a Dio quanto più nell’umiltà si nasconde. Gesù è presente fra noi, l’Ascensione non l’ha allontanato. Io sarò con voi fino alla consumazione dei secoli. Gesù è con noi, e non soltanto come Dio, ma anche come Uomo. La sua Umanità risorta dalla morte è con noi. Egli vive con l’uomo, eppure, vivendo con l’uomo, e vivendo con l’uomo nella gloria che gli appartiene come Figlio Unigenito, Egli rimane nascosto ad ogni sguardo: la sua Ascensione gloriosa lo sottrae alla nostra vista. Nella misura che questa Umanità diviene partecipe della vita divina, delle proprietà della stessa Divinità, questa Umanità si nasconde, diviene invisibile. Non è che Egli non viva, che si sottragga a noi in modo da non vivere con noi, no, Egli vive ed è anzi la vita del mondo. Egli viene e dimora tra gli uomini, eppure nessuno lo scopre, nessuno lo potrebbe vedere, ascoltare: in quale silenzio Egli vive! In quale silenzio Egli rimane nascosto!
Così la vita dell’anima: quanto più l’anima ascende, nella misura che ascende entra nella nube; nella misura che l’anima ascende verso Dio si sottrae all’esperienza sensibile; nella misura che l’anima entra in comunione con Dio, nella stessa misura quasi svanisce agli occhi degli uomini. Quanto più un’anima è santa, tanto meno se ne può parlare; dei Santi più grandi si può dire ben poco. Ben poco si può dire della stessa Vergine Maria, la Santa dei santi; ma poco si può dire anche di San Giovanni della Croce e di Santa Teresa del Bambino Gesù. Essi vivono costantemente nella luce di Dio, e la luce di Dio li fascia e li nasconde. La divina Presenza sottrae queste anime ad ogni commercio con le cose: non vivono più alla superficie, ma sono sprofondate nell’Abisso. Come il mare: si agita alla superficie, ma nel profondo rimane immobile. E l’anima pure.
Quanto più l’anima vive in Dio, tanto più si raccoglie, si fa una, e tanto più anche la molteplicità degli atti vien meno, e vien meno ogni successione del tempo nei compiti, nelle missioni, nelle attività, tanto più si riduce la molteplicità dei rapporti: l’anima non vive più che un solo atto, l’adorazione e l’amore. È l’unità e la semplicità di questa vita, ogni giorno maggiore, che ci nasconde agli occhi degli uomini, che fa la nostra vita insignificante agli occhi umani, ma piena di Dio nell’intimo. E allora l’impegno della nostra vita è un impegno di semplificazione, di unità. L’anima deve sempre più raccogliersi in Dio e in Lui dimorare. Ed è appunto quanto più affonda in Dio che l’anima acquista potenza di amore onde abbracciare tutte le cose senza dipartirsi dal centro. Quando noi pensiamo che il nostro amore per gli uomini debba mantenerci in un continuo rapporto con loro, in fondo non comprendiamo come effettivamente noi possiamo efficacemente amare gli uomini soltanto se entriamo in Dio, se tendiamo ad affondare in Dio. Noi crediamo che l’amore per gli altri si misuri dall’affaticarsi in una molteplice attività, dal fare un monte di cose, così da non avere nemmeno più il tempo per pregare: far questo, far quell’altro, avere sempre in mente migliaia di persone. L’anima invece agisce di fatto nel cuore degli uomini nella misura che affonda in Dio.
La capacità e l’efficacia dell’amore è tanto maggiore nell’uomo quanto più l’uomo si raccoglie in Dio. Non dobbiamo pensare dunque che la solitudine del contemplativo sia una solitudine che sottragga l’uomo alla comunità: lo rende invece capace di agire di più in seno alla comunità, perché entra nel cuore della comunità. Quello che diceva Santa Teresa del Bambin Gesù è anche teologicamente esatto: ella che è contemplativa sente di essere il cuore della Chiesa. Gli apostoli possono essere le mani, ma il cuore è l’anima affondata in Dio, che sembra cioè non avere più rapporti con gli uomini e di fatto agisce in loro perché in lei vive Dio stesso.
Nell’uomo agisce soltanto la grazia, è efficace soltanto l’azione di Dio, che non si esercita dal di fuori, ma dall’intimo; non ci trasforma, non ci modella dal di fuori, ma dall’intimo. E così il Santo. Il Santo quanto più è affondato in Dio tanto più riesce a esercitare un’attività su tutta quanta la Chiesa. Oggi come oggi possiamo dire che è meno efficace la vita, l’esempio, l’insegnamento di San Francesco Saverio di quanto non sia oggi efficace l’insegnamento di un San Giovanni della Croce, di un uomo cioè che durante la sua vita ha cercato di sottrarsi a ogni compito umano per vivere con Dio. Praticamente, che cosa dice oggi la vita di San Francesco Saverio? Si legge volentieri come un romanzo, e leggendola possiamo sì sentirci spinti a uno zelo apostolico, ma in fondo sentiamo che la sua vita, con tante avventure, è difficile viverla, e rimane per noi un bel romanzo. È interessata l’immaginazione, la fantasia, un certo spirito di avventura … sì, ma la nostra anima è interessata, è legata come alla lettura delle opere di San Giovanni della Croce, come all’esempio della sua vita? E questo è vero anche di una Santa Teresa del Bambin Gesù e di un San Giovanni Bosco.
Queste anime, via via che si stabiliscono in Dio e che semplificano e unificano la loro vita in una ricerca di Dio, in un’ascensione dell’anima che le porta a Dio, si nascondono agli occhi degli uomini, si sottraggono ai compiti umani, ma agiscono più efficacemente nel cuore del mondo. Così è il cammino dell’anima, se è un cammino che ci nasconde perché ci fa entrare nella luce, in una luce che ci avvolge, la luce divina che veramente è inaccessibile all’uomo e che è veramente tenebra per gli occhi carnali. Ascendendo a Dio noi ci nascondiamo, ma non ci sottraiamo, anzi, come Gesù diveniamo il principio e il cuore del mondo, principio di vita, sorgente di efficacia, di rinnovamento e di trasformazione degli uomini. Vivere nella Presenza di Dio! Vivere in questa luce che non soltanto nasconde il Signore, ma nasconde anche l’anima che rimane in Lui. Ecco il compito nostro.
Questo non vuoi dire che non dobbiamo impegnarci anche in certe attività che possono rendere più facile, anzi possibile, questo nostro dimorare nella luce del Signore. È certo che un’anima, non dico dissipata ma un poco dispersa, come tutti noi siamo, ha bisogno di vari esercizi e di varie attività perché la sua vita rimanga ordinata a Dio e sia un’ascensione al Signore. Dobbiamo vivere dunque una ricerca di Dio che ci stabilisca in Lui, che in Lui unifichi le nostre potenze, semplificando il nostro vivere in tal modo che non facciamo o non pensiamo più nulla che non abbia un rapporto con Lui, così che tutta la nostra vita sia posta a servizio di Dio, e così che nessuna attività moltiplichi i nostri interessi, ma piuttosto unifichi e semplifichi tutta la vita, e ne faccia un cammino verso Dio, un cammino di ascensione onde l’anima si sottrae alla molteplicità e alla successione degli atti per ridursi soltanto alla contemplazione di Dio, alla visione di Dio, a un atto di adesione pura e totale al Signore. Ecco come l’anima vivrà il mistero della sua ascensione, di una ascensione che tanto più è reale quanto più ci sottrae alla dispersione, alla molteplicità, quanto più ci sottrae apparentemente agli uomini tanto più ci nasconde nel Seno di Dio.
La vita più piena è la vita più nascosta; la vita più piena è la vita più profonda, la vita che nella profondità di una pace immensa non conosce successioni e vive la sua adesione a Dio. Viviamo, cerchiamo di vivere l’Ascensione del Signore imponendoci di eliminare quello che nella nostra vita non serve, che non è immediata risposta, che si sottrae a questo impegno dell’anima di cercare Dio e di rispondergli, e Lo segue e a Lui si innalza. Eliminare e nascondersi.
Così, il termine della vita cristiana è sempre la vita eremitica. Non tanto perché in realtà qualcuno possa essere un eremita, non in questo senso, ma nel senso che ci si impone sempre come ideale questo puro nascondersi nella luce infinita, questo puro perdersi dell’anima nella luce di Dio. Questo è il termine nostro, perché questo è stato il termine di Gesù il quale, pur dimorando fra gli uomini, oggi è del tutto invisibile; pur essendo la vita del mondo, è nascosto e tace. Tutti sembrano vivere più di Lui; tutti appaiono, ma Egli è nascosto; eppure Egli vive in mezzo a noi come vita del mondo, come cuore della realtà. Il mistero della nostra ascensione è una partecipazione al Mistero dell’Ascensione di Gesù. Non importa per noi soltanto un nasconderci: quanto più noi ascendiamo, tanto più entriamo nella nube, ci nascondiamo agli occhi degli uomini, diveniamo invisibili come Gesù, presente fra noi eppure invisibile.
Il mistero della nostra ascensione vuoi dire perderci nella luce, affondare nella luce di Dio. Il mistero di questa ascensione non si opera soltanto in un nostro progressivo nascondimento, in un nostro progressivo affondar nel silenzio per vivere soltanto davanti al Volto del Padre: vuol dire anche ascendere, salire. Noi partecipiamo al Mistero dell’Ascensione se in noi vive questa aspirazione costante, questo desiderio sempre nuovo e sempre più forte, sempre più vivo, di tendere a Dio, di raggiungerlo. Bisogna che in noi rimanga viva questa sete, questo desiderio del Signore. Ascendere vuoi dire superarsi continuamente, trascendere continuamente la perfezione, il grado di santità che abbiamo raggiunto. Non ci possiamo fermare. E se ascendere vuoi dire superarsi continuamente e continuamente trascendersi, vuoi dire anche vivere in una continua novità interiore, una novità che non è determinata dal cambiamento dei luoghi e dei rapporti umani – tutti noi sentiamo il peso di un lavoro costante, quotidiano, la monotonia di una vita che non conosce novità. Non è una novità esteriore quella che ci porta in un’ascensione continua verso il Signore. L’ascensione che ci porta a Dio è un cammino diritto, che ha una sola direzione, e in tanto noi si ascende in quanto ci manteniamo in questa sola direzione.
San Giovanni della Croce, al principio della Salita del Monte Carmelo, dice che l’unico cammino che porti sulla cima è il cammino del nulla. Se l’anima vuole più cose, ella piega di nuovo alla molteplicità: invece di salire discende, si sparpaglia, si dissipa, si disperde. Ascendere a Dio vuoi dire sì superarsi e trascendersi continuamente, ma mantenendo l’anima in una sola direzione nel proprio cammino. C’è dunque, in questa trascendenza, in questo superamento continuo, un qualche cosa di fisso, di immutabile: la direzione, la costanza di tendere a una sola meta, che è Dio, la costanza di volere un’unica cosa, anzi, di volere Lui, Bene supremo dell’anima. Fissi in questo desiderio dell’anima, quello che deve essere n’uovo in noi è la forza, l’intensità del desiderio, della fame e della sete di Dio. Dobbiamo ogni giorno di più crescere in questo desiderio, in questa aspirazione. Non possiamo contentarci di quel che siamo: Dio è ancora infinitamente lontano e distante. Che tutto il nostro cammino terrestre sia un’ascensione continua! Così soltanto partecipiamo al Mistero dell’Ascensione di Cristo.
Ricordiamoci che l’uomo di fatto non vive fermo, fisso immutabilmente alla divina Presenza che quando sarà passato dalla vita presente nella vita futura, quando cioè per l’uomo ogni tempo sarà passato per sempre. Fin tanto che viviamo nel tempo, il tempo ha una sola giustificazione per noi: è la condizione di un continuo ascendere. Fin tanto che viviamo nel tempo, quaggiù, tutta la nostra vita non deve essere che un solo cammino che ci avvicina ogni giorno di più al Signore. Nessun altro cammino ci avvicina a Dio se non l’amore. Non è il cambiamento dunque del lavoro, non è l’impostazione di nuovi esercizi di pietà, di mortificazione, nuovi atti di obbedienza: non è in questo che l’uomo si avvicina a Dio. L’avvicinarsi dell’uomo a Dio, una volta che l’uomo sia veramente rivolto al Signore, è determinato soltanto dal crescere in noi della divina carità. Le virtù sono necessarie in quanto impongono precisamente un raddrizzamento della nostra natura, curvata alle cose terrestri: fin tanto che noi non siamo obbedienti ai divini comandamenti, ma siamo rivolti alle creature e non a Dio, a Dio volgiamo le spalle. Fin tanto che noi camminiamo col volto non rivolto al Signore, ci allontaniamo sempre più da Lui. Ma una volta che ci siamo rivolti al Signore, una volta che ci siamo orientati verso Dio, quello che a Dio ci avvicina e giorno per giorno ci porta più avanti in Dio, è soltanto l’amore. Bisogna che in noi cresca il desiderio di Dio, bisogna che questa aspirazione si faccia ogni giorno più viva. Siamo noi veramente vivi in questo desiderio di Dio? AI principio di questo cammino che abbiamo intrapreso incontro a Lui, e ora meno vivo o più vivo questo desiderio di Dio nel nostro cuore?
Partecipare al Mistero dell’Ascensione di Cristo vuoi dire lasciarsi consumare da questo fuoco, vuoi dire essere talmente presi dal fuoco dell’Amore da essere anche consumati totalmente per Lui. Bisogna amare Dio. Amarlo. Nell’amore non possiamo trovare riposo. Il fuoco non dice mai basta, dice il Libro dei Proverbi: lo Spirito Santo e l’amore per Dio ugualmente non dice mai basta. Non perché si chiede ogni giorno qualcosa di più, ma perché quello che si chiede lo chiediamo ogni giorno con forza maggiore, ogni giorno di più questa esigenza divina si impone al tuo spirito e ti spinge con una forza non soltanto nuova, ma ogni giorno più potente. Ed è questo amore divino che cresce nel cuore dell’uomo, che non soltanto rinnova la nostra giovinezza come quella dell’aquila – secondo l’espressione del Salmista – ma dà veramente all’anima una giovinezza sempre più grande. È al principio della vita spirituale che noi siamo vecchi, ed è al termine che noi non soltanto siamo giovani, ma iniziamo la nostra vita. Quando iniziamo il cammino come siamo lenti, com’è faticoso il procedere, come si va avanti stancamente, come Dio urge ben poco nel nostro cuore, come ci sentiamo svogliati nel rispondere a Lui! Ma, via via che camminiamo, come l’amore di Dio ci attira e rende più veloce il nostro passo e più libera la nostra adesione, e come fa più violento il trasporto dell’anima! È come una calamita che tanto più si avvicina all’oggetto tanto più l’attira a sé. È quello che in fondo avviene nel mondo fisico, secondo le leggi della gravitazione: un corpo attira l’altro corpo nella misura della sua grandezza e nella misura che a questo corpo l’altro oggetto è vicino. Ma quanto più allora attira Dio! Tanto più Dio attira l’anima a Sé quanto l’anima a Lui si avvicina. L’esigenza di Dio è questa attrazione divina che cresce ogni giorno vertiginosamente nell’anima. Ed è questa attrazione di Dio che determina il crescere in noi dell’amore e determina anche il progredire di questa ascesa, questo salire vorticoso dell’anima nella perfezione, questo avvicinarsi dell’anima a Dio, che sembra sempre più allontanarsi da noi per chiamarci ogni giorno con una voce sempre più forte, con un’attrazione sempre più potente. Bisogna vivere questa continua novità dello Spirito, questa adesione a Dio sempre più forte, quest’amore, questa sete e fame di Dio sempre più piena. Così soltanto noi partecipiamo al Mistero dell’Ascensione di Cristo. Così soltanto. Ma perché queste non siano soltanto parole, ora dobbiamo dire come vivere questa ascensione a Dio, questa fame di Dio ogni giorno più grande, questo desiderio di Dio ogni giorno più vivo.
Perché Dio ci attiri e l’attrazione di Dio veramente eserciti nell’anima questa forza onde a Sé Egli ci trae con violenza ogni giorno maggiore, bisogna che la forza di questo amore divino che ci attrae non trovi in noi un impedimento ad essere attratto. Cioè, in noi crescerà sempre più questo desiderio di Dio, questa aspirazione a Dio, nella misura che noi saremo liberi, sciolti. Non che noi cerchiamo di poter crescere nell’amore quasi che questo possa dipendere da noi: il crescere nell’amore dipende dall’amore di Dio che a Sé ci attrae e attraendoci a Sé rende sempre più veemente il desiderio dell’anima che a Lui si spinge. Ma l’efficacia di questo amore di Dio, cioè il potere di essere attratti, dipende in fondo anche da noi, dal fatto che l’amore divino attraendoci a Sé non trovi in noi impedimento di qualche legame onde di fatto non possiamo noi essere strappati alle cose e portati fuori e attratti da Lui. Sicché, in fondo, una cosa ci chiede il Signore: che la nostra libertà interiore divenga ogni giorno più piena, sia veramente pura – allora l’amore di Dio totalmente ci consumerà. A che cosa noi siamo legati? A troppe cose! E sono le cose a cui siamo legati che impediscono veramente l’ascensione dell’anima a Dio. Tante volte noi sentiamo questa aspirazione a Dio, questo richiamo di Dio che a Sé ci attrae, eppure ogni giorno lo sentiamo e rimaniamo fermi, non ascendiamo. Perché non ascendiamo? Il fatto di sentire un’attrazione non è di per sé amare Dio, è l’atto dell’amore onde Dio ci chiama. La nostra risposta è determinata dalla libertà dell’anima che può più o meno rispondere a questa attrazione divina nella misura appunto che l’anima è più o meno libera, sciolta, o più o meno legata. Dunque ciò che si impone, per l’anima, è la libertà interiore da ogni legame a noi stessi: non amor proprio, non suscettibilità, non ricerca di noi stessi, di ambizioni, di affetti, ma liberi da tutto, da ogni creatura, né la ricchezza ci deve attrarre, né la stima degli uomini, né alcuna cosa terrena. Solo Dio deve essere il nostro amore, solo a Lui deve volgersi il cuore, solo Lui deve volere l’anima nostra. Nella misura che è totale la nostra adesione al Signore, è assoluta la nostra libertà dalle cose, e nella stessa misura cresce in noi vertiginosamente l’amore divino, perché l’amore onde l’anima ama il Signore è esattamente l’amore onde Dio ama l’anima: l’amore in noi vive nella misura che siamo amati. È esattamente il medesimo amore quello onde Dio ti ama e onde tu Lo ami. Non sono due amori: la tua stessa risposta all’amore divino è amore che tu hai ricevuto, perché cosa ricevi se non l’amore quando Dio ti ama? Ed è l’amore la tua risposta all’amore. Allora, che cosa fare per vivere questa partecipazione all’Ascensione di Cristo? Occorre libertà interiore, occorre essere sciolti. Siamo veramente sciolti, noi? Siamo liberi interiormente da ogni legame (legame con ogni nostra volontà, con ogni nostra aspirazione che non abbia per termine Dio, che anzi non sia esclusivamente per Dio)? Siamo noi liberi da tutti i nostri pensieri, da tutte le nostre idee, dai nostri programmi e disegni? Siamo noi liberi da ogni nostra volontà o desiderio? Siamo noi liberi da ogni nostra aspirazione? Siamo noi liberi? È in questo cammino che noi dobbiamo operare: scioglierei, staccarci, liberarci. Il distacco è la condizione dell’ascesa. È inutile pensare ad ascendere fintanto che siamo legati: fintanto che siamo legati non possiamo muovere un passo. Non soltanto non possiamo ascendere vertiginosamente a Dio, ma rimaniamo fermi, nonostante che interiormente possiamo sentire la forza di Dio che ci ricrea, che preme le porte del cuore perché rispondiamo. E molto spesso noi scambiamo quello che pensiamo e che sentiamo (ed è la grazia di Dio) con la nostra risposta, quasi che il sentire questo amore di Dio, questo bisogno del cuore, sia già un rispondere a Lui, mentre è invece la chiamata, una chiamata che aspetta risposta, e riceverà risposta soltanto nella misura che noi siamo liberi. Questo dunque allora si impone: staccarci, scioglierci, non essere legati più a nulla, non voler più nulla che Dio.
Si fa presto a dirlo, lo so, lo so che non è tanto facile realizzarlo, ma appunto per questo dobbiamo impegnarci a realizzarlo, perché è questa la condizione onde noi possiamo amarLo ogni giorno di più. Non ci illudiamo: non sono i nostri sentimenti che misurano l’amore di Dio, non sono le nostre proteste, ma il reale distacco, la reale libertà interiore che l’anima avrà acquistato, è questo essere sciolti da tutto per avere una pura disponibilità di fronte a Lui che ci chiama.
L’Ascensione importa dunque un nostro affondare sempre più nel seno di Dio, un affondare nel silenzio, un nasconderei nella luce, come Cristo. Egli è asceso al Cielo, ma ascendere al Cielo non vuoi dire per Gesù essersi allontanato da noi. Egli vive con noi, dimora con noi. L’ha detto Gesù nel Vangelo. Eppure noi non lo vediamo. Ascendere, per Lui, ha voluto dire precisamente entrare in questo infinito silenzio che il seno del Padre. Così anche la nostra vita: via via che ci avvicineremo a Dio, via via che risponderemo a Lui e ascenderemo al Padre, nella stessa misura noi affonderemo nel silenzio e la nostra vita sarà nascosta. La vita più grande del cristiano è sempre la vita più povera, più semplice, più nuda, tutta bruciata e consumata da un solo desiderio, da una sola aspirazione, da un solo amore, da una sola passione: Dio. Abbiamo anche detto come l’Ascensione di Cristo importi una nostra partecipazione a questo Mistero, un nostro progresso continuo: ascendere vuoi dire non rimanere mai nel medesimo posto, vuoi dire superarci continuamente, e in questo superamento continuo possiamo vivere una continua novità. Non novità esteriore, perché di fatto l’uomo rimane orientato sempre in una sola direzione, tende sempre al medesimo fine, non vuoi raggiungere che una medesima meta: Dio solo.
E il cammino è uno solo: il cammino del nulla, come dice San Giovanni della Croce. Noi ci superiamo giorno per giorno, giorno per giorno ci trascendiamo in questo cammino che ei conduce a Dio se cresce in noi l’amore, se l’amore per Dio diviene in noi ogni giorno più vivo, più esigente, più forte, e più veemente l’aspirazione a Lui, più decisa la nostra fuga verso il Signore. Ma l’amore non può crescere in noi per opera nostra. L’amore rimane un dono di Dio, è una virtù teologale che noi dobbiamo implorare costantemente da Lui. In noi vive l’amore nella misura che Dio stesso ei ama. Ma Dio ci ama infinitamente … perché mai noi non amiamo così? Perché non siamo liberi! Dio ci può attrarre a Sé e tuttavia questa attrazione ha la necessità di trovarci disponibili alla sua forza. Staccarsi da tutto è la condizione di questo nostro crescere, di questo progresso nell’amore che è il nostro cammino. Il termine di questo nostro cammino è Dio stesso. Che cosa dice il Vangelo a proposito dell’Ascensione di Gesù? San Marco parla di Gesù che siede alla destra del Padre. Questo è il termine dell’uomo: dopo tanto cammino, il riposo, la pace. E la pace è Dio. Festinamus ingredi in iIIam requiem. Quale importanza ha avuto sempre la pace nella spiritualità cristiana! La pace come segno veramente di una nostra appartenenza a Dio, anzi, di un nostro possesso di Dio. Ora è vero che noi, fintanto che viviamo sulla terra, siamo in perpetuo cammino, e che questo cammino non avrà altro termine che con la fine del tempo. Pur tuttavia è anche vero che la vita del cristiano rimane una vita paradossale: si vive nel tempo e nel tempo si vive l’eternità; ci rivestiamo di Cristo eppure siamo rivestiti di Cristo; si cerca Dio eppure già lo possediamo. Perciò il Mistero dell’Ascensione non importa soltanto la partecipazione a un cammino di un continuo trascenderei, importa anche la partecipazione alla pace di Gesù che siede alla destra di Dio, importa una partecipazione a questo ineffabile riposo dell’anima in Dio, che ora è proprio di Gesù Cristo. Anche noi, come Gesù, dobbiamo vivere nel seno del Padre, sedere alla destra di Dio. Che cosa vuoi dire per noi “sedere alla destra di Dio”? L’espressione è antropomorfica: né Dio ha la destra né vivere vorrà dire sedere sopra un trono. “Sedere alla destra di Dio” è espressione metaforica. Ma cosa vuoi dire espressamente? Vuoi dire riposare. È l’immutabile riposo dell’anima che ha trovato la sua pace nel possesso di Dio. Indica precisamente questo stato di imperturbabilità, di impassibilità, che è proprio dell’anima una volta che ha raggiunto il suo termine. Indica il possesso. “La destra di Dio” indica una vicinanza estrema, indica la partecipazione più intima alla grandezza, alla maestà divina: una partecipazione agli attributi di Dio. Che cosa vuoi dire per Gesù “sedere alla destra di Dio Padre”? Vuoi dire che anche nella sua Umanità Egli partecipa in qualche modo di tutti i privilegi che gli sono propri come Figlio di Dio (anche nella sua Umanità, per quanto è possibile all’umanità, sia pure all’Umanità di Cristo, perché anche l’Umanità di Cristo rimane creatura, e perciò non può essere infinita). Ma la partecipazione di Gesù è la più perfetta e la più grande possibile. Ecco le due cose che sono implicite nell’espressione “sedere alla destra di Dio”: il possesso di Dio, e col possesso di Dio una partecipazione alla sua intima vita e agli attributi della sua Divinità, un essere così vicini, così intimi a Lui da essere associati alla sua medesima Gloria. Si diceva prima che la vita cristiana è una vita paradossale: importa insieme un camminare e lo star fermi. Importa una fuga immobile: l’anima deve correre, deve salire, deve ascendere e, rimanendo nella sua pace, deve rimanere fissa nel suo centro che è Dio. Abbiamo parlato prima di questo cammino dell’anima, di questo trascendersi continuo dell’anima in un’ascensione che deve portarla al Signore. Dobbiamo ora renderci conto che non ascendiamo realmente né realmente possiamo cercare Dio se già non lo possediamo nel cuore. E possediamo Dio nel cuore se abbiamo la pace: la pace è veramente il segno di questo divino possesso. Per questo la pace ha tanta importanza nella vita cristiana: una certa pace, quella pace quae superat omnem sensum, di cui parla San Paolo nella Lettera agli Efesini; quella pace di cui parla San Francesco d’Assisi: Pax et bonum; quella pace di cui parla San Benedetto: Pax. Sembra che tutti i maestri della spiritualità abbiano un solo linguaggio e vedano nella pace cristiana precisamente la sintesi di tutti i beni spirituali di cui l’anima gode. Ma prima ancora dei maestri della spiritualità cristiana è Gesù che ci parla della pace. Prima ancora di San Paolo è Lui che ne parla e ce la dona: Pacem meam do vobis. “Ecco, io vi do la mia pace, vi do la mia pace, non come il mondo la dà”. Quante volte Egli parla di questa pace! Pax hominibus bonae voluntatis. La pace! C’è pace e pace, Gesù stesso la distingue: la “sua” pace non è la stessa pace che dà il mondo. Che cos’è la pace di Dio se non il segno di un divino possesso? Che cosa, se non l’immutabile stabilità dell’anima che ha trovato finalmente il suo riposo? Dice Sant’Agostino: “Tu hai fatto il nostro cuore per Te ed inquieto è il nostro cuore fintanto che non riposa in Te”. Il riposo dell’anima è possibile soltanto quando l’anima possiede veramente Dio, perché Dio solo è il bene dell’anima e perciò soltanto nel possesso di questo bene l’anima e quieta, è sazia, e non cerca né può cercare più nulla. C’è pace e pace. La pace del mondo … Ma la pace del mondo, in ultima analisi, è la pace già celebrata da Tacito: “Facevano il deserto e chiamavano il deserto pace”: la pace della morte! La pace della vita è il possesso di Dio. Un possesso di Dio onde l’anima non è più turbata dalle cose presenti: avvenga quello che avvenga, ella non è toccata da nessuna cosa, nessuna cosa ha più la capacità di turbarla, di cagionarle inquietudini, di toglierle certezza. Certo, anche nel possesso di Dio l’anima può soffrire, ma altra cosa è la sofferenza e altra cosa è la pace. La sofferenza si oppone alla gioia, non alla pace. L’anima di Gesù viveva una imperturbabile pace pur nella sua Passione dolorosa, e i Santi vivono nella pace anche se vivono nell’agonia. La pace dell’anima che possiede Dio è qualche cosa di troppo profondo perché l’angoscia possa turbarla. Che cos’è questa pace? Si diceva: è il fermarsi, lo stabilirsi dell’anima nel suo centro. Stabilirsi dell’anima nel suo centro. Siete voi stabiliti nel vostro centro? Dov’è l’anima vostra? A che cosa è legata? Dove riposa? Nel suo centro o nelle cose? Se riposa nelle cose umane, non riposa nel suo centro; se cerca la sua pace nelle cose, l’anima non possiede la pace di Dio, quella pace che il mondo non può rapire. Se voi cercate la vostra pace nel possesso della stima degli uomini, quando questa stima vi manca voi non possederete più la vostra pace. Se cercate la vostra pace, il vostro riposo nella ricchezza, ebbene questa “sicurezza” non è la pace di Dio: l’anima non riposa nel suo centro, e se le venissero a mancare le ricchezze sarebbe turbata, non avrebbe più pace. È così: le anime che riposano nella ricchezza e vi trovano una certa pace, in realtà non hanno riposo, ma preoccupazioni e ansie, perché cercano la pace nelle cose che non la possono dare. Se la vostra anima riposa nella vita presente, nella giovinezza, nella salute, quando la salute è in pericolo, quando la giovinezza se ne va, la vostra anima non possiede più la pace: vive in ansia, nel turbamento, nell’angoscia. Perché l’anima sia stabilita nel suo centro, bisogna che trovi il suo riposo in Dio, unicamente in Dio. E se l’anima trova in Dio il suo riposo, possono venirle a mancare tutte le cose ma nulla le viene tolto: l’anima vive la medesima vita perché possiede la medesima pace. Nulla può togliere all’anima questa pace, perché nulla può togliere all’anima Dio. Dobbiamo possedere la pace nel possesso divino. Questo possesso ci è dato perché Dio ci ama e, amandoci, Egli medesimo si dona: tu lo possiedi nella misura che possiedi la pace, nella misura che in Lui ti riposi. Trova il tuo riposo, cerca il tuo riposo nel Signore! Che sono le ricchezze? Che cos’è la vita presente? Che cos’è la stima degli uomini? Che cos’è mai l’affetto delle creature? Che cosa, tutti i beni del mondo? Fumo … Sono “beni” perché hanno un certo valore – non si può disprezzare nulla, tutto è creato da Dio e tutto quello che Dio ha creato è buono – ma, pur essendo valori, sono assi precari e non possono saziare l’anima. Pur senza disprezzare questi valori, senza rinunziarvi se Dio non te li chiede, non trovare però il tuo riposo in essi: accettali se te li dà, ma non fermare il tuo cuore, non trovare la tua pace nel loro possesso così che, se anche ti mancassero, la tua vita trascorra uguale, calma, serena, riposata in Lui, in un Bene che non può mai compromettere nulla e che nessuno mai ti può strappare, perché nulla può attentare a questo divino possesso tranne l’anima stessa. Che l’anima possegga la pace, la pace del possesso di Dio! In questo possesso di Dio, in questa pace profonda, l’anima è anche partecipe in qualche modo dei beni divini, è associata alla stessa gloria di Dio: un sentimento di gloria la invade, che la rende in qualche modo invulnerabile anche di fronte alle cose presenti. Come, pur nella sofferenza, l’anima gode la vicinanza divina, come vive nella pace di Dio! Come, pur nella povertà, l’anima gode di questo divino possesso!
Guardate San Francesco d’Assisi: la sua anima ha trovato la pace nel possesso di Dio e nulla può strappargliela. E Francesco non possiede soltanto la pace ma, in questa pace che è il segno di un possesso divino, egli è in qualche modo partecipe della stessa gloria di Dio che lo rende invulnerabile a tutte le pene terrestri, e pur nella povertà e nella sofferenza egli gode, vive la stessa beatitudine di Dio. Morente, egli partecipa della beatitudine divina e loda il Signore per la morte come per tutte le cose belle del mondo: tutto è uguale, per lui, perché egli, attraverso tutte le cose, vive la beatitudine stessa di Dio. Questo è anche per noi il modo di vivere la partecipazione all’Ascensione di Cristo. Come per Gesù, anche per noi ascendere al Padre non vuoi dire sottrarci agli uomini, andare … in una stella: vuol dire rimanere quaggiù non legati a questo mondo, non cercando la pace nei beni di quaggiù. Vuoi dire vivere in mezzo agli uomini, ma nascosti nella luce di Dio, nel possesso di quell’ineffabile pace che è il distintivo di una presenza di Dio nell’anima stessa. Vuoi dire vivere in mezzo agli uomini, ma vivere già una partecipazione alla beatitudine stessa di Dio, tutti raccolti, nascosti, affondati nel silenzio divino. Questo, per noi, vuoi dire partecipare al Mistero dell’Ascensione di Cristo.
Don Divo Barsotti
Omaggio a don Divo