Santi Giacinta e Francesco

Possono dei bambini di nemmeno dieci anni avere una conoscenza delle verità cristiane più profonda di quella degli adulti? Il caso di Giacinta e di Francesco Marto, i due bambini-pastorelli di Fatima, è esemplare. E non soltanto per la straordinaria serie di eventi di Cova da Iria: i due fratelli dimostrarono una sorprendente profondità spirituale, un totale abbandono ai Sacri Cuori di Gesù e Maria, arrivando ad una serie di pratiche di abnegazione e di mortificazione proprie dei grandi asceti e non dei bambini. Dopo aver visto l’inferno e aver ricevuto dalla Vergine l’indicazione di fare penitenza per la conversione dei peccatori, Giacinta si impegnò a rinunciare a qualsiasi piacere della vita. Al pascolo, con i greggi, mangiava soltanto ghiande e olive non ancora fatte, amarissime, mentre lo spuntino del giorno, preparato a casa, veniva destinato ai ragazzi poveri (Lucia racconta Fatima, Memorie lettere e documenti di suor Lucia, Queriniana, ed. agg. 2018, p. 39). Perfino l’acqua veniva rifiutata da Francesco e Giacinta: in una giornata di solleone, mentre sorvegliavano il gregge su un terreno sassoso e senza un filo d’ombra, si procurarono una brocca d’acqua da una donna che viveva nei paraggi. Poi, ripensandoci, non decisero di non bere per fare penitenza e consentire la conversione dei peccatori: l’acqua fu data alle pecore. E, senza bere e con poche cose nello stomaco, l’arsura divenne insopportabile: perfino il canto incessante delle cicale stordiva i ragazzi, tant’è che Giacinta si mise a gridare che gli insetti stessero zitti per un po’. Francesco la rimproverò: «Non vuoi soffrire questo per i peccatori?». E Giacinta, immediatamente, rispose di sì (Ivi, p. 40).

Giacinta non amava il latte; anzi, a suo dire la ripugnava. Eppure, malata, accettò di bere il latte per fare contenta sua madre e, così facendo, faceva penitenza. Sempre Giacinta fu l’ideatrice di altri, piccoli strumenti di mortificazione personale: ogni tanto coglieva delle ortiche, le stringeva nelle mani per pungersi o le passava sulle gambe. «Da allora – scrisse anni dopo suor Lucia – ci rimase l’abitudine di darci, ogni tanto, qualche orticata alle gambe per offrire a Dio anche quel sacrificio» (Ivi, p. 79).

E ancora: i tre bambini regalavano l’uva ai poveri e si accontentavano di mangiare ciò che meno piaceva loro; pregavano incessantemente, spesso alzandosi di notte, più volte, per recitare anche una sola preghiera. Offrivano ogni sacrificio per la conversione dei peccatori: e questo, anche se erano soli, se tutto il mondo sembrava correre verso la follia delle ideologie, delle guerre e delle dittature. Anche in assenza di speranza – apparente assenza di speranza – i tre fanciulli erano consapevoli di fare qualcosa di buono, di necessario, di santo. Le loro azioni, apparentemente folli, avevano la loro piena giustificazione in Dio. Il futuro faceva loro paura? Giacinta in modo particolare ripensava continuamente al segreto che le era stato affidato, sempre con molta apprensione; nondimeno, non si perdeva d’animo e continuava a pregare, aumentava le mortificazioni e gli atti di riparazione. È così che anche noi, nei tempi tristi dell’ora presente, dovremmo comportarci ben sapendo – come ci hanno riferito Lucia, Giacinta e Francesco – che il Cuore Immacolato di Nostra Signora trionferà.

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