La notte oscura (che conduce a Dio)

Indubbiamente ci stiamo addentrando in un momento di profonda purificazione. A ben vedere essa è sommamente necessaria e desiderabile visto l’infimo livello morale ed il profondo ottenebramento intellettuale in cui versa l’umanità. E ciò a causa della dimenticanza di Dio e dalla sua eliminazione dalla vita dei singoli e della società.  Ciò naturalmente non giustifica l’operato di chi si sta macchiando di crimini efferati, ma dimostra (e dimostrerà) come Dio permetta il male traendovi alla fine un bene maggiore.

La purificazione è necessaria dicevamo ma essa è profondamente ripugnante agli occhi umani concentrati ed attaccati al mondo dei sensi. D’altronde essa avanza e ci toglie progressivamente ogni cosa. È chiara la sensazione di privazione di oggetti che abbiamo ritenuto indispensabili ed è altrettanto chiara la sensazione di vagare nella completa oscurità dove non solo ogni cosa ci viene tolta ma anche ogni certezza, ogni consolazione intellettuale ed (umanamente) ogni speranza.

In un tale stato di cose due sono gli esiti possibili per chi si rende conto dell’inganno: il cadere nella disperazione più nera oppure una maggiore unione ed un maggior abbandono a Dio. Chi infatti non troverà la via che conduce a Dio e non si abbandonerà con fiducia a lui difficilmente potrà reggere il martirio in atto.

Ma perché sia possibile un reale abbandono non basta uno slancio ideale e momentaneo ma occorre approfondire e recuperare le solide fondamenta della nostra fede e comprendere che essa non è il frutto di una mente credulona, di un vuoto autoconvincimento, di un “andrà tutto bene” fondato su nulla, ma che è veramente la sostanza delle cose sperate (Ebr 11,1). Per chi è rettamente formato la fede è lo strumento, la mappa che ci indica la direzione e ci conduce fuori di noi, dalle tenebre all’unione con Dio!

Uno dei Maestri di questo profondo insegnamento è San Giovanni della Croce che vi invitiamo a recuperare, studiare e meditare profondamente. Vogliamo qui proporvi il parallelo tra quanto sperimentiamo oggi e quello che avviene nell’anime che percorrono la strada stretta che conduce all’unione con Dio per mostrarvi l’opportunità che Dio ci sta dando di andare rapidamente verso di lui. In passato solo poche anime coraggiose avevano la forza interiore di percorrere questa strada. Oggi forse è una direzione obbligatoria per chi vuole veramente sopravvivere a questi tempi: è infatti Dio che indirettamente ci conduce in questa notte della privazione. Ciò significa che possiamo affrontarla dal momento che Egli, come buon padre, non ci sottopone a nessuna prova se avessimo gli strumenti per farlo.  

Nella “Salita del Monte Carmelo” il Santo Dottore della Chiesa, paragona la salita al Monte all’ascesa verso l’unione con Dio. Per operare questa unione è però necessario che l’anima passi per un processo di profonda purificazione chiamato Notte dell’anima. La salita in definitiva coincide con la notte stessa ed è chiamata così per tre motivi: Primo, poiché procede privandoci del gusto e dell’attaccamento alle cose del mondo e ciò è come notte per i nostri sensi. Secondo, per il mezzo, attraverso cui l’anima giunge a questa unione, ovvero la fede; anch’essa oscura per l’intelletto e, terzo, a causa del termine verso cui va, cioè Dio, il quale, allo stesso modo, è per l’anima notte oscura.

Queste tre notti devono passare attraverso l’anima o, per meglio dire, l’anima attraverso esse, per giungere alla divina unione con Dio. Nel libro di Tobia (6, 18-22) questi tre modi di notte si raffigurarono attraverso le tre notti che l’angelo comandò al giovane Tobia di lasciar passare prima d’unirsi con la sua sposa.

  • Nella prima notte gli comandò di bruciare il cuore del pesce nel fuoco, che significa il cuore affezionato e legato alle cose del mondo, che, per cominciare ad andare verso Dio, bisogna bruciare, e purificare di tutto ciò che è creatura con il fuoco dell’amore di Dio. E con questa purgazione si mette in fuga il demonio, che ha potere sull’anima mediante l’attaccamento alle cose corporali e temporali.
  • Nella seconda notte gli disse che sarebbe stato ammesso nella compagnia dei santi patriarchi, che sono i padri della fede. Infatti, passando attraverso la prima notte, che consiste nel privarsi di tutti gli oggetti del senso, l’anima entra poi nella seconda notte, restando sola nella fede.
  • Nella terza notte l’angelo gli disse che avrebbe ottenuto la benedizione, cioè Dio, il quale, mediante la seconda notte, che è la fede, va comunicandosi all’anima tanto segretamente e intimamente che per essa è un’altra notte, in quanto tale comunicazione va facendosi molto più oscura delle altre.

Queste tre parti della notte sono una sola notte; la quale, come la notte, ha tre parti. Infatti la prima, quella del senso, si paragona alla prima notte, che è quando le cose scompaiono dalla vista. E la seconda, cioè la fede, si paragona alla mezzanotte, che è totalmente scura. E la terza infine, cioè Dio, è ormai vicinissima alla luce del giorno.[1]

LA NOTTE DEI SENSI

La prima notte quindi si chiama notte del senso la quale consiste nella privazione del gusto nell’appetito di tutte le cose. Come dicono i filosofi, fino a che l’uomo sta nel suo corpo, è come se fosse chiuso in un oscuro carcere (sema=soma) nel quale non si conosce nulla se non quello che si riesce a vedere attraverso le sue finestre che sono da intendersi come i sensi. Pertanto, si può dire che se essa rifiuta e nega ciò che può ricevere tramite i sensi, rimane come all’oscuro e vuota.

Perché è necessaria questa privazione?

La ragione per la quale è necessario che l’anima attraversi questa notte oscura di mortificazione degli appetiti e di negazione dei gusti di tutte le cose per giungere alla divina unione con Dio è che tutte le affezioni che essa ha verso le creature davanti a Dio sono pure tenebre; e finché l’anima ne resta rivestita, non ha capacità di essere illuminata e posseduta dalla pura e semplice luce di Dio, se prima non le respinge da sé, poiché luce e tenebre non possono stare assieme, in quanto, come dice San Giovanni: Tenebrae eum non comprehenderunt; cioè: «le tenebre non poterono ricevere la luce» (1, 5).

In definitiva questi appetiti disordinati, causano nell’anima due danni principali: il primo è che la privano dello spirito di Dio, e il secondo è che stancano, tormentano, oscurano, macchiano, infiacchiscono e feriscono l’anima in cui vivono.

Come entrare in questa notte del senso?

Per mortificare e acquietare le quattro passioni naturali, che sono piacere, speranza, timore e dolore, è opportuno quanto segue. Si cerchi sempre di inclinarsi:

  • Non al più facile, ma al più difficile;
  • Non al più saporoso, ma al più insipido;
  • Non a quanto più piace, ma invece a quanto meno piace;
  • Non al riposo, ma alla fatica;
  • Non al consolante, ma invece allo sconsolante;
  • Non al più, ma al meno;
  • Non a ciò che è più alto e prezioso, ma a ciò che è più basso e spregiato;
  • Non a desiderare qualcosa, ma a non desiderare nulla;
  • Non alla ricerca del meglio delle cose temporali, ma del peggio,

e a desiderare d’entrare per Cristo in ogni nudità e vuoto e povertà di tutto quanto c’è nel mondo.

Quanto s’è detto, se ben esercitato, basta per entrare nella notte sensitiva ed insegna a mortificare «la concupiscenza della carne e la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita», che sono le cose che San Giovanni dice che regnano nel mondo (I, 2, 16) e dalle quali procedono tutti gli altri appetiti. [..] In questa nudità l’anima spirituale trova la sua quiete e riposo, poiché, non bramando niente, niente l’affatica verso l’alto e niente l’opprime verso il basso, perché si trova nel centro della sua umiltà.

Come fare per rinunciare all’attaccamento ai sensi?

In una notte oscura,
d’amorose ansie infiammata,
o felice ventura!,
uscii, né fui notata,
stando già la mia casa addormentata.

Questi i versi posti all’inizio dell’opera che sono commentati dal Santo carmelitano: dunque l’anima dice che d’amorose ansie infiammata passò attraverso questa notte oscura del senso e giunse all’unione con l’Amato. In altre parole, per vincere tutti gli appetiti verso i quali la nostra volontà usa infiammarsi per goderne, è necessario che più grandemente l’anima s’infiammi di un altro e migliore amore, cioè quello per il suo Sposo divino, affinché, abbandonandosi a Lui, trovi la forza e la costanza di negare facilmente tutti gli altri. Se infatti la parte spirituale non è infiammata con altre maggiori ansie di ciò che è spirituale, non potrà vincere il giogo naturale, né entrare in questa notte del senso, né avrà l’animo di rimanere allo scuro di tutte le cose, privandosi dell’appetito di esse. E ciò stando già la sua casa addormentata; che significa che la parte sensitiva, che è la casa di tutti gli appetiti, era addormentata, essendo stati tutti gli appetiti vinti e addormentati. Infatti fino a che gli appetiti non s’addormentino, per la mortificazione della sensualità, e la sensualità stessa non se ne sia acquietata, in modo da non far più alcuna guerra allo spirito, l’anima non si leva alla vera libertà a godere dell’unione con il suo Amato.

LA NOTTE DELLO SPIRITO

Allo scuro e sicura,
per la segreta scala,
travestita o felice ventura!
allo scuro e celata,
stando già la mia casa addormentata.

In questa seconda notte l’anima canta la felice ventura che ebbe di denudare lo spirito di tutte le imperfezioni spirituali e degli appetiti di possesso di cose spirituali. E questa fu per lei ventura molto più grande per la maggiore difficoltà d’addormentare questa casa della parte spirituale e di poter entrare in questa oscurità interiore che è la nudità spirituale di tutte le cose, tanto sensuali quanto spirituali, appoggiandosi solo alla pura fede e con essa salendo a Dio. Perciò la chiama qui scala e segreta, perché tutti i suoi gradi ed articoli sono segreti e nascosti ad ogni senso e intelletto. Così essa rimase allo scuro d’ogni lume di senso e intelletto, uscendo da ogni limite naturale e razionale, per salire per questa divina scala della fede, che ascende e penetra fino alla profondità di Dio. E dice che andava travestita perché, salendo con la fede, aveva cambiato in divino l’abito e il rivestimento e il termine naturale. Così a causa di questo travestimento non fu riconosciuta né trattenuta dal temporale, né dal razionale, né dal demonio, poiché nessuna di queste cose può portare danno a colui che cammina nella fede. Per questo dice d’essere uscita allo scuro e sicura, poiché colui che ha questa ventura di camminare nell’oscurità della fede prendendola per guida come un cieco e uscendo da tutti i fantasmi naturali e ragioni spirituali, come abbiamo detto, cammina molto al sicuro.

L’oscurità della fede

Qui si arriva ad un apparente paradosso: la fede è oscurità. Come la privazione dei sensi è oscurità per la parte carnale, così la fede è oscurità per l’intelletto; un’oscurità ancora maggiore: 

Infatti, come l’oscurità è tenebra più grande di quella della notte, poiché, per quanto sia oscura una notte, tuttavia consente di veder qualcosa, mentre nell’oscurità non si vede nulla. Così nella notte del senso resta tuttavia qualche luce, poiché restano l’intelligenza e la ragione, che non s’accecano; invece questa notte spirituale, cioè la fede, è priva di tutto, tanto nell’intelletto che nel senso. [..] Per questa grande oscurità la fede viene paragonata alla mezzanotte. E così possiamo dire che per l’anima è più oscura della prima e, in certo modo, della terza. Infatti [ ..] la terza parte, cioè l’alba, che è già prossima alla luce del giorno, non è tanto oscura come la mezzanotte, essendo vicina all’illuminazione e alla proiezione della luce del giorno, la quale è paragonata a Dio.

Il perfezionamento tramite le tre virtù teologali

In altre parole l’anima deve completamente vuotarsi di sé. Le potenze dell’anima devono essere soggiogate e per questo devono essere poste nelle tenebre, ovvero devono essere svuotate deli loro abituali oggetti nei quali provano piacere e soddisfazione. Sono le tre virtù teologali quelle che debbono portare a perfezione le tre potenze dell’anima costituite da intelletto, memoria e volontà e sono queste virtù che fanno in esse vuoto e tenebre divenendo i mezzi tramite i quali l’anima si unisce a Dio.

Infatti, le tre virtù teologali, fede, speranza e carità — le quali sono gli oggetti propri soprannaturali rispetto a queste tre potenze —, fanno lo stesso vuoto e oscurità, ciascuna nella potenza propria:

  • L’intelletto deve perfezionarsi nella tenebra della fede facendo vuoto ed oscurità nel capire. La fede infatti non può essere compresa con l’intelletto e quantunque esso vi consenta con fermezza e certezza, tuttavia non sono cose che si manifestino a lui. La fede è la mappa che conduce l’intelletto dal momento che rivela una strada che lo stesso non conosce ma che egli stesso riconoscerà un giorno come vera. Infatti la fede non contraddice l’intelletto. Semplicemente lo supera.
  • La memoria deve perfezionarsi nel vuoto della speranza. Non c’è dubbio che anch’essa pone la memoria nel vuoto e nelle tenebre circa le cose di quaggiù e circa quelle dell’aldilà infatti la speranza è sempre di ciò che non si vede e del quale quindi non possiamo avere memoria. Spes, quae videtur, non est spes dice San Paolo (Rom, 8,24).
  • La volontà si fa perfetta nella privazione e spogliazione da ogni affetto di tutto ciò che non è Dio. La carità, ugualmente, fa nella volontà il vuoto di tutte le cose, poiché ci obbliga ad amare Dio sopra tutte le cose, il che non può essere se non allontanandone l’affetto da tutte per porlo intero in Dio. Onde Cristo ci dice in San Luca: Qui non renuntiat omnibus quae possidet, non potest meus esse discipulus; che vuol dire: «Chi non rinuncia a tutte le cose che possiede, con la volontà, non può essere mio discepolo» (14, 33).

E così tutte e tre queste virtù pongono l’anima nell’oscurità e nel vuoto di tutte le cose. E qui dobbiamo ricordare quella parabola che il nostro Redentore narrò in San Luca al capitolo undicesimo (v. 5), là dove disse che un amico doveva andare a mezzanotte da un amico a chiedergli tre pani; e questi tre pani significano queste tre virtù. E disse che glieli chiese a mezzanotte, per far capire che l’anima deve acquistare queste tre virtù allo scuro di tutte le cose.

Unione con Dio

Tutto ciò che abbiamo descritto è finalizzato all’unione divina. Ma per comprendere la natura di questa unione della quale si parla, bisogna sapere che Dio dimora ed è sostanzialmente presente in qualsiasi anima, anche in quella del più grande peccatore del mondo. E, questo modo di unione vi è sempre tra Dio e tutte le creature e con esso Dio ne conserva l’essere che hanno; dimodoché se questo modo d’unione venisse loro a mancare subito s’annichilirebbero e cesserebbero di essere. Perciò, quando parliamo di unione dell’anima con Dio, non parliamo di questa unione sostanziale, che sempre è in atto, ma dell’unione e trasformazione dell’anima in Dio, che non è sempre in atto, ma solo allorché viene ad esserci somiglianza d’amore. E pertanto questa si chiamerà unione di somiglianza, così come quella unione essenziale o sostanziale: naturale questa, e soprannaturale l’altra. E questa si dà quando le due volontà, cioè dell’anima e di Dio, sono totalmente conformi, non essendoci nell’una nulla che sia incompatibile con l’altra. E così quando l’anima si libererà totalmente da ciò che è incompatibile o non conforme con la volontà divina, rimarrà trasformata in Dio per amore.

Abbiamo dato solo un breve ed imperfetto accenno a quelle che possono essere considerate a tutti gli effetti istruzioni per disporre il nostro essere all’unione con Dio la quale, è opportuno ricordarlo, è comunque frutto di un dono di grazia e non, come va di moda pensare oggi, frutto di “tecniche”. Come ricordavamo all’inizio dell’articolo, oggi sembriamo essere portati forzatamente in questa notte oscura da una situazione che ci priva progressivamente di ogni bene e di ogni certezza. Per superare la tempesta sono richiesti un abbandono totale a Dio ed una fede incrollabile, la quale può divenire tale solamente se si è disposti ad un vero e proprio combattimento spirituale che ci porti, attraverso una lotta senza quartiere al peccato, ad essere sempre più integri e fondati sulla roccia che è Cristo. Non dobbiamo pensare che ognuno di noi toccherà in questa vita le altezze spirituali di descritte da San Giovanni della Croce, a meno, come dicevamo, di una grazia che è dono gratuito. Tuttavia per essere sempre più fondati sulla Roccia è indispensabile tornare alle solide radici della nostra fede affinché la nostra anima possa esserne fortificata, illuminata e guidata soprannaturalmente. Senza questi fondamenti saremo spazzati via e non avremo la forza di resistere alla prova del fuoco.

Questo crogiuolo è la Croce. Una croce che è individuale e collettiva. Infatti, ciò che Nostro Signore ci mostrò duemila anni or sono lo vediamo oggi replicarsi a livello globale. Possiamo infatti considerare quanto sta succedendo come la Passione della Chiesa di Dio. Essa è stata catturata, insultata, flagellata e giudicata colpevole di morte di croce, e di questo processo viviamo oggi il momento culminante.  Il dolore e lo spasimo che da esso deriva si riverbera sull’intero corpo mistico di cui ogni battezzato fa parte.  Ognuno di noi quindi sta vivendo nella propria vita questa Passione. Acquistano qui significato le parole della Madonna di Fatima dal momento che, essendo reale il vincolo che ci lega ad ogni parte del corpo mistico, diviene fondamentale portare la croce (se così ci si può esprimere) anche per chi non è in grado di portarla e pregare per le anime altrimenti destinate alla dannazione. Fondamento di tutto è la carità senza la quale siamo veramente nulla.

Dobbiamo quindi ringraziare e lodare Dio e chiedergli di darci la forza di abbracciare la Croce e rimanere nella tempesta attaccati a questo Santo Legno che solo può traghettarci ad una salvezza; salvezza che è certa dal momento che noi sappiamo che dopo tre giorni di buio vi è la resurrezione: resurrexit sicut dixit!
Il male non prevarrà. Andiamo quindi avanti in questa notte oscura con la certezza della fede cercando l’unica cosa che conta: l’unione con Dio! Sursum corda!

Riportiamo, per la sua bellezza e profondità, l’intera poesia commentata da San Giovanni della Croce nella sua opera:

In una notte oscura,
d’amorose ansie infiammata,
o felice ventura!
uscii, né fui notata,
stando già la mia casa addormentata;

allo scuro e sicura,
per la scala segreta, travestita,
o felice ventura!
allo scuro e celata,
stando già la mia casa addormentata.

Nella felice notte,
in segreto, nessuno mi vedeva,
né alcunché io miravo,,
senz’altra luce e guida,
fuori di quella che nel cuore ardeva.

E questa mi guidava,
più certa della luce meridiana,
là dove mi aspettava,
chi ben io conoscevo,
in luogo ove nessuno si mostrava.

O notte che guidasti!
O notte amabile più dell’aurora!
O notte che hai unito,
l’Amato con l’amata,
l’amata nell’Amato trasformata!

Sul mio petto fiorito,
che per lui solo intatto si serbava,
lì rimase dormiente,
ed io l’accarezzavo,
e il ventaglio di cedri l’arieggiava.

E l’aura dei bastioni
mentre quei suoi capelli discioglievo,
con la mano serena,
nel collo mi feriva,
e tutti i miei sensi sospendeva.

Dimentica, acquietata,
il volto reclinai sull’Amato,
tutto cessò e rimasi,
lasciando ogni mia cura,
circondata da gigli, obliata.


[1] Salita al Monte Carmelo, Libro Primo, Cap.2, 1-5

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