La Vigilanza

Mancano poche ore alla venuta di Gesù. Al termine dell’Avvento, in questo momento che dovrebbe per il Cristiano essere momento di raccoglimento e penitenza, nell’attesa della venuta del Salvatore, vi proponiamo questa meditazione tratta dall’opera “Il Canto della Città di Dio” di D. Idesbaldo Van Houtriyve, O.S.B.

Viviamo con questo spirito le ore che ci separano dalla nascita di Nostro Signore con la consapevolezza che, per l’anima interiore (o forse dovremmo semplicemente dire per il Cristiano), questa nascita è un processo che ogni giorno deve avvenire nei nostri cuori:

“Fratello mio, nella tua ascensione versò la Luce, tu incontri delle difficoltà, tentazioni, scoraggiamenti, delusioni, tristezze, timori. Circostanze penose e gaudiose ti sospingono cercando di stornarti dalla Via; sembrano dirti: no, no, non c’è nè salvezza ne felicità in questa tua chimerica speranza, torna alla realtà. Perché arrischiarti in questa via, di morire ad ogni desiderio che non conduce a Dio, per conservare questa unica speranza? Inoltre le antiche abitudini, le passioni forse, tutte le “vecchie amiche” ti tirano per gli abiti e, come già ad Agostino, ti sussurrano: Vuoi dunque abbandonarci definitivamente? — Già, perché ogni atto di virtù, ogni idea elevata e nobile fa fare dei versacci a Satana.

Ah, no! Non diventare di nuovo il pagano goloso di sensazioni, l’ambizioso, il voluttuoso, il dilettante, l’indifferente, l’inconseguente di prima; non tentennare: il tuo sogno non si infrangerà; non scuotere l’incanto; non lo vedrai crollare ad un tratto; custodisci la luce nella tua anima; non scacciare la speranza che comincia a entrare in te.

Così pensava Agostino: trascinato un istante verso la luce, «io sento ben presto un maledetto peso trasportarmi lungi da essa»  e ricado a terra gemendo[1].

Perché allontanarti dalla luce? Perché rivolgere Io sguardo, come fanno i miopi, solo all’orizzonte immediato, senza la prospettiva dei beni intimi sui quali si può sempre contare? La tua misera anima cerca forse a sua insaputa Colui che è la sua speranza e la sua salvezza; lotta con persistenza contro il tuo orgoglio, contro le tue insaziabili passioni che finirebbero col divorarti. Accetta la sofferenza, lascia fiaccare il tuo orgoglio, lasciati piegare dal dolore. Guarda coraggiosamente la tua miseria; esamina con quella lucidità che dà la sofferenza il nulla di tutte le gioie nelle quali ti compiacevi. Soffri senza ribellarti, senza impazientirti. Se ti senti disgustato degli uomini e della vita, assalito da ondate di tristezza, se ti senti indolenzito e pesto, fatti coraggio: un essere nuovo vuol sbocciare in te. Sotto l’angoscia che ti opprime, sorge una volontà nuova; la grazia modifica quasi a tua insaputa la tua vita interiore :

« Questa montagna è tale,
che sempre al cominciar di sotto è grave,
e quanto uom più va su, c men fa male.

Però quand’ella ti parrà soave
tanto che il su andar ti fia leggiero,
come a seconda giuso andar per nave
allor sarai al fin d’esto sentiero:
quivi di riposar l’affanno aspetta »[2].

I tuoi timori non tarderanno a dissiparsi, tocchi dalla luce che ti illuminerà progressivamente e finirà con l’inondarti in, pieno. Non dire che sei esausto per aver troppo desiderato, o che vorresti lottare, ma non puoi. Ecco il messaggio del Signore: «O voi tutti che vi lasciate così facilmente abbattere, che vi sentite oppressi, voi la cui volontà è così instabile, fatevi animo: l’energia vi tornerà, abbandonate questo timore che vi sfibra e vi scoraggia, ecco che il Signore verrà e vi salverà investendovi della Sua forza ». « Senza dubbio, il Signore si manifesterà e le sue promesse non saranno menzognere; se il dubbio ti assale, abbi fiducia: se Egli tarda un po’ a venire, non stancarti di attenderlo con una dolce speranza, perché è certo che Egli verrà e non tarderà ». Ricordi, quanto era dolce la consolazione che tua madre ti prodigava nelle tue pene e nei tuoi dolori, con quanta arte sapeva farlo, come ti conosceva bene? «Tale — dice il Signore — sarà la mia consolazione; io ti sarò madre e più che madre; tu non piangerai più e il tuo cuore sarà nella gioia ». No, mai, neanche nel momento più aspro della lotta tu sarai abbandonato.

E poi, fratello mio, se hai delle ragioni per non camminare avanti risolutamente, ragioni che arrestino lo slancio della tua anima, confessalo: non saranno semplicemente le scuse del tuo amor proprio, la paura della mortificazione, barricate dietro le quali tu ti ripari per non cedere a una forza a cui non vuoi arrenderti, pretesti dietro i quali ti nascondi per non guardare in faccia la verità?

Ancora una volta, tieni lo sguardo teso verso la luce: un giorno, dopo aver lottato, dopo aver sofferto, più leggero e più puro, raggiungerai il termine dei tuoi desideri. Ma fin d’ora, purificandoti, la sofferenza ti permette di fissare più chiaramente la stella della speranza che continua a brillare. La tribolazione fa sì che la speranza ci trasporti in un altro mondo; privandoci del sorriso di Questa vita, essa fortifica in noi la vera vita che si schiude liberamente. Sembra una giornata di primavera.

Sì, la speranza mi è indispensabile; io Vi amo, o mia Speranza! La lotta deve purificarmi e la speranza è la mia forza, perché mi solleva al di sopra di me stesso, con le braccia tese, gli occhi diretti verso la luce.”

E questa speranza, che ardendo d’amore per l’Amato diviene certezza, è ciò che trasuda da quel sommo canto d’amore tra l’Anima e lo Sposo Divino che è il Cantico dei Cantici dei quali vi riportiamo uno stralcio tratto dalle letture del 21 dicembre:

Una voce! Il mio diletto!
Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline.
Somiglia il mio diletto a un capriolo o ad un cerbiatto.
Eccolo, egli sta dietro il nostro muro;
guarda dalla finestra, spia attraverso le inferriate.

Ora parla il mio diletto e mi dice.
“Alzati, amica mia, mia bella, e vieni!
Perché, ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, se n’è andata;
i fiori sono apparsi nei campi,
il tempo del canto è tornato    .

e la voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna.
Il fico ha messo fuori i primi frutti e le viti fiorite spandono fragranza.
Alzati, amica mia,
mia bella, e vieni!
O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi,

Con questa speranza, con questo cuore ardente, aspettiamo Nostro Signore che viene.


[1] Le Confessioni, L- VIII, 17

[2] DANTE, La Divina Commedia: Purgatorio, c. 4°.

[3] Cantico dei Cantici 2, 8-14

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